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Tratto da un intervista al mister Zeman durante un incontro con l’Assoallenatori
Le punizioni esterne
Parla di quelle sulla propria trequarti oppure nei pressi dell’area di rigore. Ci sono più punti di riferimento precisi sia per i difensori sia per gli attaccanti avversari. I primi hanno il compito di occupare la propria zona controllando l’avversario che vi entra e proteggere la porta, obiettivo principe dei secondi.
Ci dice mister: «La difesa ha il dovere di chiudere gli spazi vuoti, la palla lunga deve diventare preda del portiere, mentre quelle più corte e basse dovrebbero essere intercettate dal giocatore più vicino alla sfera, con i compagni che, letta la traiettoria, scivolano verso di lui rimanendo tutti su una linea. Perché utilizzando le coperture in diagonale si regala profondità all’avversario. Gli attaccanti in questo caso sono svantaggiati rispetto ai difensori perché danno le spalle alla porta, ma quest’ultimi hanno il problema di ostacolare e controllare gli inserimenti da dietro che possono nascere da una spizzata o da una “torre”».
La filosofia è simile quando si tratta di una punizione laterale nei pressi dell’area di rigore: «Preparo un uomo in direzione del primo palo in modo che possa intercettare la palla bassa e formo un rombo con altri quattro giocatori a centro area, mai dentro l’area piccola, perché questa è territorio del portiere. Il “rombo” ha il compito di muoversi alla ricerca della palla, osservando il comportamento degli avversari e cambiando leggermente forma a a seconda di quanto accade. Solitamente sono i migliori saltatori della mia squadra. In più, mi capita di utilizzare un accorgimento particolare nei confronti delle formazioni che hanno un calciatore particolarmente bravo nel gioco aereo. Faccio stazionare nei pressi un “piccoletto”, in modo da disturbarlo nel momento in cui prende la rincorsa per staccare».
Come si completa lo schieramento in questa situazione? Solitamente l’allenatore di Praga predispone due uomini in barriera, due al limite dell’area per evitare le giocate schema, pronti a ripartire appena conquistato il pallone, e uno nei pressi del secondo palo, il controllore delle traiettorie più lunghe.
I corner
Sempre con dieci calciatori più il portiere a difesa della porta… «Anche se, purtroppo, – ci dice il mister – molti attaccanti tornano per… riposarsi e sono di poca utilità per la squadra. Mi sono anche chiesto cosa potrebbe succedere se tenessi 2,3 e perché no 5 attaccanti nella metà campo avversaria… ma così facendo cadrebbero i principi del gioco del calcio. Uno dei primi prevede che in difesa bisogna sempre cercare di creare superiorità numerica, non inferiorità».
La disposizione base di Zeman prevede un uomo a nove metri dal punto di battuta «per chiudere sulle palle veloci e le giocate schema degli avversari. E’ utilissimo, può anche non essere un gigante, ma ha il dovere di provare a intercettare le traiettorie a “girare” sul primo palo, ultimamente molto ricorrenti in serie A»
Oltre ai quattro giocatori a rombo «che guardano la sfera e la attaccano muovendosi lateralmente o in avanti, mai indietro», posiziona un altro elemento sul vertice dell’area del portiere a ulteriore protezione dagli inserimenti sul primo palo con corner calciati forti e tagliati in tale zona. Poi c’è il portiere: «Nell’area piccola comanda lui, dovrebbe fare un passo in avanti quando presume una traiettoria a uscire e rimanere in posizione d’attesa quando il corner dovrebbe essere a rientrare… così dicono i preparatori dei numeri uno e io lascio a loro la gestione dei loro “pupilli”».
Inoltre, c’è un calciatore sul palo e uno che occupa la zona vicina al secondo per chiudere eventuali inserimenti dopo possibili spizzate e uscire insieme al giocatore davanti a lui per le combinazioni studiate sugli avversari. Infine, schiera due elementi che stazionano al limite: «Non devono seguire gli avversari, ma rimanere in posizione perché spesso gli schemi avversari tendono a spostarli per calciare dal limite. Con l’Udinese quest’anno non si è applicato questo principio e abbiamo preso gol.
Comunque conoscendo le peculiarità degli avversari si può sempre decidere di “irrobustire” le zone sul primo o secondo palo.»
Per concludere l’argomento sui calci d’angolo, continua il tecnico: «A volte questa disposizione funziona altre no, ripeto… è questione di attenzione.
Qualche squadra mi ha anche chiesto di marcare a uomo in queste situazioni dopo qualche gol di troppo. Cosa ho risposto? “va bene, proviamo”. Ma dopo due partite sono venuti da me dicendomi: “Mister, torniamo a zona!”»
La barriera
«Ho una mia teoria particolare – afferma il “boemo” – su questo accorgimento tattico. Per le punizioni indirette, ad esempio, si prepara un bel “muro” e poi gli avversari muovono la palla e i primi due uomini non servono a niente perché si rimane tutti fermi. Ecco perché credo che l’ideale sia costruire una barriera attiva, che si sposta tutta insieme, come un un unico blocco – se salta un giocatore, devono saltare anche gli altri, ad esempio – a seconda del tocco effettuato.
Comunque, quando la sfera è posizionata in zona leggermente esterna, suggerisco di coprire un palo con tre uomini e il secondo con un giocatore. Se vogliono tirare forte centralmente c’è il portiere che copre lo spazio libero. Con palla centrale, stessa cosa: due giocatori a proteggere un palo e due per l’altro, con il portiere al centro. A Foggia abbiamo più volte adottato questa soluzione che funzionò. E’ anche normale che poi gli avversari posizionino un secondo muro per coprire la palle… ma ci sono ulteriori accorgimenti per agevolare l’estremo difensore. Come quello di “staccare” un difensore per far vedere la palla al portiere. Dimenticavo: se tirano dai 30-35 metri, meglio non posizionare la barriera. Si darebbe un punto di riferimento al tiratore.»
Ma il mister, nel caso di tiri dal limite dell’area richiede altre attenzioni: «Desidero che la barriera capisca il tipo di traiettoria che il tiratore ha intenzione di imprimere alla palla e salti nel caso di un tiro a giro verso l’incrocio dei pali. Ci sono pochi tiratori che riescono a calciare sotto la barriera in queste situazioni. E ancora… i portieri devono smettere di pensare che se prendono gol sul loro palo è una vergogna, mentre se lo subiscono sopra il “muro” non potevano farci niente. Loro devono solo evitare la rete. Punto e basta!»
Sempre compatti
Molti gol su palla ferma sono dovuti alla bravura degli attaccanti, ma una buona parte sono causati dalla distrazione. Inoltre, non è semplice prepararsi durante la settimana per queste situazioni: i giocatori non danno sempre il massimo quando si provano movimenti e posizioni. Infatti, «se si considera la barriera,durante le sedute i giocatori si voltano di schiena o di fianco, hanno paura di prendere una pallonata… è normale. Forse dovrei usare palloni di gommapiuma! Lo stesso vale per i corner: quasi nessuno salta deciso, c’è il timore di un contrasto aereo, di una gomitata involontaria:. Non ho ancora trovato soluzioni per migliorare l’allenamento in questi casi».
Zeman, inoltre pone la sua attenzione sull’importanza della ripetitività delle varie situazioni: «E’ vero che può risultare noioso, ma è l’unico modo per automatizzare i movimenti, per imparare ad agire tutti insieme». Infatti, continuando a ripetere, si agisce quasi inconsciamente, riconoscendo la situazione. E «si gioca l’uno per l’altro, con ad esempio i quattro difensori che sono un tutt’uno in campo. Una volta, quando lavoravo nel settore giovanile, persi una partita 4-1 e il mio difensore centrale uscì dal campo soddisfatto; mi disse “mister, il mio non ha segnato”. Non vi dico la mia risposta! Il calcio è uno sport di gruppo e si hanno notevoli vantaggi nel giocare insieme»
E come si riesce a far apprendere tutti i nuovi movimenti? Lavorando con atleti motivati e concentrati «che nell’ora e mezza di allenamento danno il massimo e si applicano costantemente. Si viene al campo per fare calcio, non per discutere di donne e motori. Poi, dovrebbero tornare a casa e riesaminare mentalmente quanto fatto. Sarebbe l’ideale, ma pochi si comportano in tal modo. Senza dimenticare che è anche compito del mister spiegare sempre quanto si esegue in settimana, i giocatori non devono essere meri esecutori, ma capire ciò che stanno facendo. Non mi piacciono i robot. Comunque, per apprendere al meglio il lavoro, ritengo fondamentali le pause tra un’esercitazione e l’altra, sono indispensabili per metabolizzare quanto svolto».
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Tratto da un intervista al mister Zeman durante un incontro con l’Assoallenatori
Mai distratti
«Effettivamente la passata stagione – esordisce il tecnico ceco – a Lecce abbiamo preso qualche gol di troppo in queste occasioni. Ma era solo questione di concentrazione, perché gli stessi concetti, leggermente adattati agli interpreti, hanno funzionato perfettamente in altre realtà. Era necessario unicamente che i giocatori mettessero in pratica con maggiore abnegazione e in modo preciso le teorie esposte più volte alla lavagna, provate poi sul campo durante le sedute, perché ci sono delle “regole” e se non le si rispettano, si paga.»
Ecco come incomincia la sua esposizione Zeman e a riprova di ciò, del fatto che i giocatori mancano di attenzione, porta un esempio: «Basta osservare cosa succede nel momento del calcio d’inizio. Calciatori che si aggiustano i calzettoni, altri i pantaloncini, taluni le scarpe… non sono concentrati e lo stesso accade sui calci piazzati».
Ma perché marcare a zona sulle palle inattive? Far sentire la propria presenza fisica all’avversario, il cosiddetto fiato sul collo può essere determinante in un momento topico della partita. Non è d’accordo il mister: «Innanzitutto, con questa scelta tattica non si vedono maglie tirate e trattenute varie… non è sportivo comportarsi così. E poi, per ottenere risultati positivi, occorre rispettare le consegne, tutte le zone saranno certamente coperte, però mai stare fermi ad aspettare che… il pallone mi cada sulla testa. E’ indispensabile essere sempre attivi, valutare la traiettoria della palla, i movimenti dei giocatori e attaccare la sfera per conquistarla».
Continua subito l’ex allenatore del Lecce: «I giocatori, utilizzando la zona sulle palle ferme, hanno come riferimento principale la sfera, non l’uomo. Quindi non devono seguire un attaccante che magari termina la sua corsa dentro la porta… l’importante è che in questa non vi entri la palla. Inoltre, si trovano più facilmente le contromisure ai blocchi e veli usati per ostacolare la marcatura a uomo».
Infine, non dovrebbe essere così difficile sfruttare la zona anche in questo contesto: infatti, il principale concetto per la fase difensiva è quello di creare superiorità numerica e… «sulle palle ferme i difendenti sono sempre più degli attaccanti. Quindi, potrebbe bastare occupare gli spazi, coprire le palle lunghe, intercettare quelle sul corto e non dovrebbero esserci problemi. Ma è l’attenzione che fa la differenza, ricordatelo sempre».
Dopo questa premessa, il mister ha iniziato la sua analisi delle principali situazioni su palla inattiva, specificando immediatamente che non avrebbe trattato la rimessa laterale («Prima di tutto, i calciatori non sanno usare bene le mani, sono quasi più imprecisi che con i piedi. Inoltre, con le mani si può lanciare la sfera al massimo per una quindicina di metri e occupare questo spazio non è così difficile»).
Il rinvio del portiere
Inizia in tal modo Zeman: «Solitamente tutte le squadre si ammucchiano nel cerchio di centrocampo, con i calciatori che sperano di arrivare casualmente alla conquista della sfera. Io desidero evitare questo, pertanto, i quattro difensori, partendo rigorosamente in linea, nel momento in cui il portiere prende la rincorsa, arretrano (si staccano, in gergo tecnico, nda) di una decina di metri e poi attaccano la palla… voglio difendere in avanti! Chiaramente con le logiche coperture su chi va a saltare e salendo tutti insieme dopo che è stata colpita la sfera. Muovendosi subito, non dopo che la respinta è magari controllata da un avversario. Ci vogliono i tempi giusti anche per questo».
Nella concezione zemaniana tutto ciò significa pressare immediatamente il portatore di palla appena questi ne entra in possesso e non aspettare mai sulla linea di centrocampo per contrastarlo. Tale idea è confermata anche dal fatto che il tecnico non vuole che la squadra “scappi”, lasciando il possesso agli avversari, e si posizioni preventivamente in difesa, ma abbia come prima idea quella di conquistare la sfera per impostare immediatamente un’azione offensiva. Infatti, «le tre punte rimangono alte, pronte per ripartire o contrastare un eventuale passaggio del portiere che potrebbe preferire una giocata più corta. Sono un riferimento più importante per tutta la squadra, perché, ottenuto il possesso, ogni giocatore ha il compito di trovare uno di questi tre uomini».
E gli altri atleti? Il metodista, sempre secondo le sue caratteristiche, può rimanere quindici metri davanti alla difesa e “cercare” la palla, sempre che non ci sia un avversario nella sua zona, oppure avvicinarsi a uno di questi per disturbare il suo stacco. I centrocampisti esterni invece si stringono centralmente, ma devono essere pronti ad allargarsi celermente in fascia perché «entrati in possesso la sfera deve arrivare subito nella loro zona. Sono loro a far ripartire la squadra». Il portiere? Non deve certo stare sulla linea di porta «ma giocare con la squadra.
Intanto, il numero uno avversario non può certo segnare rinviando la palla dalla propria area e neanche gli attaccanti possono far gol direttamente di testa! Quindi, deve stare fuori dai pali e coprire le spalle ai difensori su eventuali spizzate»
Zeman chiede un comportamento simile anche per calci di punizione nella metà campo avversaria: «Vale il discorso fatto in precedenza. La linea difensiva si “stacca” immediatamente per “chiudere” come prima intenzione la palla lunga. Così che i giocatori non corrano fianco a fianco con l’avversario mentre la sfera è in volo. Infatti, i difensori devono andare incontro alla palla muovendosi in direzione della porta avversaria, non verso la nostra rete insieme alle punte dell’altra squadra. Inoltre, è mia intenzione costringere gli avversari a giocare in zona laterale in modo da contrastare più facilmente il possessore della sfera e chiudere i riferimenti più vicini, lasciando libero il lato debole (dove si può ripartire anche in modo efficace, nda)».
Se c’è invece una punta che va incontro alla sfera? il più delle volte è meglio che se ne occupi un centrocampista perché «se deve uscire un difensore, sganciandosi troppo in avanti, libera la zona dietro di lui e lì possono inserirsi gli avversari».
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