1. Il Mental Training nel calcio

    17 maggio 2012 by Emiliano Adinolfi

    Uno degli aspetti più interessanti ed affascinanti dell’allenamento sportivo è rappresentato dal Mental Training. Il Mental Training si occupa di quella parte dell’allenamento che concerne l’area mentale-emotiva dell’atleta. Per tale ragione, scopo del Mental Training è quello di allenare la forza mentale dell’atleta e, nel nostro caso, del calciatore. La presupposizione è quindi che la forza mentale possa essere allenata e conseguentemente acquisita da tutti. Con questi articoli voglio anzitutto sgomberare il campo dagli equivoci e dalle false convinzioni che spesso –purtroppo- ancora accompagnano l’allenamento mentale, limitandone l’utilizzo, la diffusione e quindi gli indubbi benefici che esso apporta alle prestazioni sportive.

    L’allenamento mentale può contribuire a migliorare le prestazioni sportive fino al 57% (British Psychology Society, 2004)

    Il Calcio è uno sport di squadra determinato da prestazioni individuali. Le prestazioni d’ogni calciatore possono essere analizzate osservando e studiando l’interazione di quattro aree principali:

    · Area tecnica
    · Area tattica
    · Area fisica
    · Area mentale-emotiva

    Queste quattro aree formano un sistema e, come tutti i sistemi, si basa sulla forza e sulla tenuta di tutte le sue componenti. Una debolezza in un’area del sistema determina la debolezza dell’intero sistema. In altre parole e facendo un esempio, qualora un calciatore sia preparato tecnicamente, tatticamente, fisicamente ma non mentalmente ci si troverebbe di fronte ad un calciatore dalla preparazione incompleta e, di fatto, di fronte ad un calciatore incompleto.

    L’allenamento mentale è forse la parte più importante della preparazione sportiva: quanto più elevato è il livello agonistico dell’atleta, tanto più importante sarà la sua preparazione mentale. Quante volte infatti abbiamo sentito dire da atleti e da tecnici che “è la testa a fare la differenza”? Quindi, se è la testa a fare la differenza occorre allenare la testa a fare la differenza.

    L’obiettivo dichiarato sarà, quello di dimostrare quali sono i benefici dell’allenamento mentale, ed in quale modo esso possa essere applicato in modo chiaro, semplice e pratico andando ad affiancare ed a complementare l’allenamento tecnico, tattico e fisico.

    Cominciamo col dire che l’allenamento mentale è l’allenamento degli stati d’animo e, come ogni altra forma di allenamento, si basa su un principio fondamentale: la volontà, da parte di chi intende intraprenderlo, di sottoporsi a questa forma di allenamento.
    In altre parole: nessun successo e nessun miglioramento evidente sarà possibile a meno che l’atleta non decida liberamente e con convinzione di intraprendere la via dell’allenamento mentale. Si tratta infatti d’un vero e proprio viaggio che l’atleta compie e che richiede, come ogni altra forma di allenamento, applicazione, costanza e determinazione, nonché la guida d’un coach competente e preparato. I risultati che se ne ottengono sono però straordinari e spesso creano non solo un atleta completo ma soprattutto un uomo completo.

    ll mondo dello sport professionistico, e nel nostro caso del calcio, è un mondo in continua evoluzione dove le figure professionali si evolvono in maniera organica, ovvero andando a soddisfare i bisogni che col passare del tempo si creano all’interno del proprio ambiente. Esempi eclatanti sono la comparsa di figure professionali come il preparatore atletico o il nutrizionalista, impensabili fino a trent’anni fa mentre oggi sarebbe altrettanto impensabile farne a meno.

    Per comprendere bene il valore ed il significato dell’allenamento mentale occorre sfatare alcuni falsi miti che protraendo convinzioni negative riguardo ciò che sarebbe o non sarebbe possibile ottenere impediscono, di fatto, l’allenamento completo del calciatore.
    Uno dei falsi miti vuole che non sarebbe possibile “cambiare la testa delle persone”. Con questa frase, che ancora troppo spesso sentiamo ripetere, si vuole dire che a livello di allenamento mentale c’è ben poco da fare, uno è quello che è! Si tratta invece d’una generalizzazione che, oltre a non corrispondere al vero, crea nelle persone che decidono di credervi convinzioni limitanti e risultati limitati.


  2. Le verità di Zeman ( Victory La7 )

    15 maggio 2012 by Emiliano Adinolfi

    Intervista al Mister a cura di Andrea Scanzi per Victory andato in onda su La7.


  3. Prof.Rafel Pol Cabanellas ( A.s.Roma )

    3 maggio 2012 by Emiliano Adinolfi

    Ha con­quistato Luis Enrique con un libro. Il titolo semplice, diretto, senza giri di parole: “La preparacion fisica en el futbol”. Un libro che ha fatto na­scere l’amicizia tra il tecnico asturia­no e il giovane preparatore atletico Rafel Pol Cabanellas che viene dal mare, essendo nato a Campanet, nel­l’isola di Majorca. Due cognomi, co­me tutti in Spagna, una formazione universitaria di alto livello, a soli ventiquattro anni. Il sodalizio, non solo l’amicizia, tra i due nasce da quel libro. Dopo aver­lo letto, Luis ne è ri­masto entusiasta. Al punto di mettersi in contatto con la picco­la casa editrice (Mc Esport), per avere il numero di telefono dell’autore, che ha contattato. Da quel giorno è nata una bel­la amicizia e una fat­tiva collaborazione, da circa tre anni.

    RICERCA – Da allora Luis e Rafel hanno cominciato a lavorare insieme. Lo stesso modo di intendere il calcio, la stessa applicazione scrupolosa sul lavoro. Non ha mai lavorato ufficialmente nello staff del Barcellona, ma in po­co tempo è diventato un vero e pro­prio uomo di fiducia di Lucho. Pol Cabenellas è ricercatore, nel settore sportivo, in un progetto congiunto tra l’Università di Barcellona e quelle di Vienna e Colonia. Il suo primo im­patto con il nuovo ambiente della Ro­ma è stato positivo. Ai dirigenti e ai giocatori ha dato subito l’impressio­ne di essere molto preparato.

    FEELING – Pol Cabanellas si occupa esclusivamente di preparazione fisi­ca nel calcio e si è laureato nella vec­chia INEF (L’Instituto Nacional de Educación Física). Ha undici anni in meno di Totti, ma in campi i giocato­ri lo stanno ad ascoltare. Lo seguo­no. Ha stabilito un buon feeling con tutti, è molto disponibile con tutti. Spiega, assiste, riesce già a farsi ca­pire con un po’ d’italiano. Tra i suoi maestri ha avuto il mitico Francisco “Paco” Seirul-lo Vargas, capo dei preparatori del Barça, entrato nel club attraverso la pallamano agli ini­zi degli anni ’70. Una specie di totem nel campo della preparazione fisica in Spagna, molto stimato tra gli ad­detti ai lavori. La filosofia del profes­sor Seirul-lo, che ha lavorato con Luís Aragonés, Johan Cruyff, Bobby Rob­son, Carles Rexach, Llorenç Serra Ferrer, Louis van Gaal, Ra­domir Antic e Frank Rijkaard, si basa sul­l’idea che il calcio, al­la resa dei conti, si decide sulla forza e sulla velocità, degli atleti la prima e del pallone la seconda.

    METODO – Fatta questa considerazione, la sua scuola insiste moltissimo sugli esercizi anaerobici. La parte aerobica, a suo modo di ve­dere, è svolta ugualmente in questo tipo di lavoro e completata dalle cor­se di routine e dalle partite. Il lavoro svolto in ritiro dalla Roma è stato in linea con i nuovi criteri di prepara­zione in uso in tutta Europa. Abolito l’allenamento sul fondo, subito lavo­ro con il pallone, tanta intensità con i torelli. Praticamente abolita la pale­stra, molto frequentata ai tempi di Spalletti, già meno con Ranieri, gli esercizi di potenziamento si fanno con gli elastici.

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    CORRIERE DELLO SPORT


  4. André Villas Boas Special two

    by Emiliano Adinolfi

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    33 anni, volto da attore, una storia che sembra uscita da una sceneggiatura hollywoodiana e le stimmate del predestinato della panchina: scopriamo tutto sull’unico vero erede di Mourinho.

    Luís André Pina Cabral Villas Boas ha ben poco in comune con gli allenatori tradizionali: non ha un passato da giocatore, non aveva legami nel calcio e ad un età verdissima per un tecnico (classe 1977) è già alla guida, con successo, di un top club. Il genio di Oporto è cresciuto a pane e calcio, ma quello virtuale: fruitore maniacale di videogame calcistici, in particolare del celebre manageriale Championship Manager, Villas Boas nel 1994 riesce a conoscere l’allora allenatore del Porto Bobby Robson. Una coincidenza fortuita per un 17enne qualunque? Non proprio: il destino vuole che l’allenatore inglese vada a vivere nello stesso palazzo della nonna di André, che da quel momento sfrutta ogni momento libero per andare a trovare la vecchina, con la speranza di incontrare Sir Bobby.

    Quel giorno non tarda ad arrivare: davanti all’ascensore dello stabile il giovane teenager trova il coraggio di presentarsi al leggendario manager britannico, esponendogli le sue idee sul calcio e alcune considerazioni sul Porto e bombardandolo di domande, invitandolo ad un utilizzo maggiore dell’attaccante Domingos Paciencia. Quel ragazzo così vispo e preparato colpisce Bobby, che lo invita al campo di allenamento dei Dragões. Da lì a poco Villas Boas, con i suoi mille foglietti e le schede di tutte le squadre e i giocatori del campionato portoghese, entra a far parte dello staff tecnico di Robson e comincia la sua avventura a bordocampo: grazie alla ‘raccomandazione’ dell’allenatore inglese riesce a partecipare all’esame di abilitazione Uefa C, solitamente riservato ai maggiorenni, a soli 17 anni e nel 1996 ottiene anche il patentino B.

    In quegli anni André conosce anche Mourinho, di cui diventa assistente nel 2001, quando Josè arriva a sedersi sulla panchina del Porto. Prima di affiancare quello che sarebbe diventato lo Special One Villas Boas si è fatto le ossa con un’esperienza molto particolare: nel 2000, dunque a soli 23 anni, viene infatti assunto come commissario tecnico della Nazionale delle Isole Vergini Britanniche (diventando il più giovane allenatore internazionale del pianeta), incarico che ricopre per 18 mesi prima di tornare, in qualità di allenatore dell’Under 19, al Porto. Mourinho gli affida il compito di compilare i rapporti sulle formazioni attuali, e in pochi mesi si trasforma in una delle più importanti risorse dello staff del tecnico di Setubal, grazie alle sue conoscenze tattiche.

    Villas Boas partecipa a tutti i successi di Mou in Portogallo ma continua a studiare da allenatore, e nel 2003 ottiene anche l’abilitazione Uefa A. I suo contributo è però ancora fondamentale per Josè tant’è che quando arriva la chiamata del Chelsea il tecnico non ci pensa due volte a proporgli di seguirlo in Inghilterra. Ormai André è uno dei segreti dei trionfi delle squadre dello Special One, che lo definisce i suoi “occhi e orecchie” e lo porta con sé anche all’Inter. Anche alla Pinetina finiscono con l’apprezzare il lavoro di Villas Boas, grazie alla sua maniacale cura per i dettagli tattici e ai dvd che produce in serie per sviscerare tutti segreti degli avversari.

    Nell’ottobre del 2009, dopo otto anni di collaborazione, il rapporto con Mourinho si interrompe: alla soglia dei 30 anni André decide di tentare l’avventura da primo allenatore, dimettendosi dal suo incarico all’Inter quando arriva la chiamata dell’Academica. Lascia Appiano Gentile tra abbracci e sorrisi: al momento dei saluti per Villas Boas c’è in regalo per lui una maglia nerazzurra con il numero 1 e il suo nome sulle spalle. Tutti alla Pinetina conoscono la sua grande preparazione e la sua competenza, e sono in tanti a prevedere per lui un futuro da big.

    C’è anche chi giura che sia stata sua, e non di Josè, l’intuizione di schierare Eto’o sull’esterno, mossa tattica che ha poi permesso all’Inter di centrare lo storico triplete. Nessuno però forse poteva immaginare che la sua carriera avesse un’impennata così repentina: chiamato a salvare l’Academica, ultimo in classifca dopo una partenza da incubo sotto la gestione Gonçalves, Villas Boas chiude il campionato con un sorprendente undicesimo posto, cambiando letteralmente volto alla squadra.

    Nell’estate del 2010 il richiamo del Porto, che punta su di lui per il dopo Ferreira. Subito un trionfo, ad agosto, nella Supercoppa portoghese contro il Benfica e in seguito un filotto impressionante di successi in campionato. I Dragoes sotto la sua gestione cominciano a sbriciolare record su record, tra i quali spiccano le 36 vittorie consecutive (considerando tutte le competizioni), 3 in più del precedente primato stabilito proprio da Mourinho. L’allievo supera dunque il maestro: vince il campionato al primo colpo (Josè ci riuscì alla seconda stagione da head coach), coronando la sua cavalcata trionfale con il 2-1 rifilato al Benfica al Da Luz, che gli permette, con cinque giornate d’anticipo, di laurearsi campione senza perdere neanche una partita. Anche in Europa League il Porto vince e diverte: 13 vittorie, 1 pareggio e una sconfitta, con il 5-1 allo Spartak Mosca nella gara d’andata dei quarti di finale come fiore all’occhiello della campagna continentale.

    L’influenza di Mou è evidente nelle idee di Villas Boas: la grande attenzione alla fase difensiva (solo 9 le reti concesse durante tutta la Primeira Liga) si unisce però ad un’altrettanto accurata ricerca del goal attraverso la manovra, che spinge a paragonare il suo dinamico 4-3-3 a quello di Guardiola al Barcellona. Devastante in attacco, in particolar modo sulle fasce laterali, impenetrabile centralmente: il Porto è una macchina pressocchè perfetta, come dimostra l’imbattibilità in campionato. L’unico vero passo falso della stagione dei biancoblù è stato nella finale d’andata della Taça de Portugal (la coppa nazionale), persa 2-0 contro il Benfica. L’accostamento allo Special One non è dovuto però soltanto ai suoi successi o al modo in cui scendono in campo le sue squadre, ma anche ad una certa affinità caratteriale: è meno burbero di Josè ma ha la tendenza a non concedere interviste e a  ‘sguazzare’ nelle polemiche, dando vita a conferenze stampa degne del suo maestro.

     

     

     


  5. Calcio Totale Rinus Michels

    2 maggio 2012 by Emiliano Adinolfi

    IL CALCIO TOTALE

    Rinus Michels

    Rinus Michels è stato l’inventore del calcio totale. Recentemente scomparso (2005), il “generale” – come era soprannominato – stabilì che i giocatori della sua squadra dovevano diventare il più possibile universali, capaci cioè di ricoprire vari ruoli.

    Da questo presupposto, i  difensori tornavano a marcare a zona sfruttando al massimo la tattica del fuorigioco; i centrocampisti e gli attaccanti pressavano a tutto campo i portatori di palla avversari; ogni calciatore doveva saper attaccare e difendere la sua zona di competenza. La disposizione in campo che predilesse fu il 4-3-3.

    La nuova filosofia di copertura degli spazi si sostituisce al concetto di contrapposizione individuale, tipico del catenaccio.

    Nel 1999, la Fifa ha eletto Michels allenatore del secolo e, nel 2002, la UEFA gli ha concesso l’Ordine di Merito per “il contributo alla crescita e alla storia del calcio”.

    PALMARES

    Finalista Coppa del Mondo 1974 Olanda
    1 titolo Europeo: 1988 Olanda
    1 Coppa Campioni1 vinta Ajax 4-1 1971 Ajax – Panathinaikos 2-0
    4 titoli nazionali con l’Ajax: 1966, 1967, 1968, 1970
    1 titolo con Barcellona: 1974
    3 coppe d’Olanda con l’Ajax: 1967, 1970, 1971
    1 Coppa del re di Spagna con il Barcellona: 1978
    1 Coppa di Germania con il Colonia 1983