1. Mourinho ” Questione di METODO”

    28 marzo 2012 by Emiliano Adinolfi

    Tratto dal libro: MOURINHO – Questione di metodo

    Avere in mano il pallino del gioco, non perdere la propria personalità di fronte ai rivali, sono caratteristiche delle mie squadre. Lo erano già quando allenavo il Leira, un club che non aveveva questi obblighi. Per me, la cosa più importante è sempre la mia squadra non gli avversari. A volte succede di cambiare sistema di gioco, ma non lo facciamo mai per adattarci al gioco che fanno gli altri, non è questo il motivo che ci porta a cambiare. Avere un modello definto e non scappare da questo è un marchio delle mie squadre. Ed è fondamentale che sia così.

    La qualità migliore che può esibire una squadra è quella di giocare come una squadra; è più importante persino che avere uno o due grandi giocatori. La squadra più forte non è quella che ha i migliori giocatori, ma quella che gioca come una squadra.

    Giocare come una squadra è avere un’organizzazione, determinate regole che fanno si che nei quattro momenti del gioco, tutti i giocatori pensino in funzione dello stesso obiettivo simultaneamente e questo è un risultato che si raggiunge con il tempo, il lavoro e la tranquillità. Perchè una cosa è che i giocatori acquisiscano e provino a fare quel che io voglio e un’altra cosa è ottenerlo come squadra. Per questo c’è bisogno di tempo.

    Non arrivo a teorizzare una distinzione riguardo all’origine dell’organizzazione, se questa inizi dalla difesa o dall’attacco. Non voglio considerare le cose in modo tanto analitico. Quando preparo la mia squadra per qualsiasi partita, lo faccio con l’intenzione di vincere, allenando nella stessa maniera il reparto difensivo come quello offensivo. Per questo non posso dire da quale reparto inizio a preparare la mia squadra.

    Non è mia abitudine affrontare le partite preoccupandomi più dell’organizzazione difensiva che di quella offensiva, per la stessa ragione per cui non preparo nessuna partita senza rendere i giocatori consapevoli della loro funzione sia offensiva che difensiva; anche il portiere ha un compito offensivo, e anche in allenamento prende parte a questa fase. Per questo non sono d’accordo con la distinzione. La partita deve essere pianificata in modo equilibrato, come gli allenamenti. Non so dire se è più importante difendere bene o attaccare bene perchè non separo questi due momenti: la squadra è un tutto indivisibile e funziona come tale. Sono aspetti troppo compenetranti uno con l’altro perchè si possa pensare di scinderli.

    In una squadra che ambisce a essere grande, tutti i giocatori devono partecipare ai quattro momenti del gioco…portiere compreso. Ho ben chiaro in mente che il controllo del gioco passa dal possesso di palla. Controllare il gioco vuol dire gestire la palla e sapere cosa farne. La mia idea tattica principale passa dall’avere ben chiara l’idea di un calcio moderno. Ben prima di segnare, è importante avere il controllo della palla.

    Voglio anche che la palla circoli velocemente e per questo occorre avere un buon gioco di posizione, vale a dire: tutti i giocatori devono sapere che in una determinata posizione si trova il compagno, che dal punto di vista delle geometrie c’è gia qualcosa di costruito sul terreno di gioco che permette loro di anticipare l’azione.

    Allargare gli spazi quando si attacca, stringere le linee quando si difende, aggredire immediatamente se si perde il  pallone, una struttura di posizionamento fissa e una mobile: alcuni giocatori hanno posizioni fisse in campo e altri, per la loro dinamica, possono svariare anche se devono mantenere un equilibrio di posizione. La mia squadra non può rinunciare a vincere le partite, ma nemmeno può perdere la tranquillità e l’equilibrio di posizione. I giocatori devono mantenere una linea di gioco offensiva, ambiziosa, nella quale sia netta l’intenzione di voler vincere senza perdere il controllo dello spazio, la tranquillità e la comunicazione tra di loro. Quest’ultimo è un aspetto fondamentale.

    Mi piace che la mia squadra controlli il pallone, che lo faccia circolare, che abbia un buon gioco di posizionamento e che i giocatori sappiano chiaramente come occupare gli spazi. Insieme a questo, anche difendere bene e avere qualità individuale, sono aspetti decisivi. Un buon posizionamento difensivo come squadra, a formare un blocco coeso che possa giocare con linee molto vicine, è un’altra caratteristica della mia squadra. Ci sono squadre molto preoccupate dell’aspetto difensivo e per questo, durante le partite, si trovano in imbarazzo quando sono costrette a passare dal pressing al possesso di palla. É un aspetto sul quale lavoro molto: ripartire dopo aver riconquistato il pallone. Ci vuole la capacità di giocare a protezione della difesa, e una volta entrati in possesso di palla, saper variare questa modalità fondamentale: recuperare le posizioni in campo o far uscire la palla dalla zona di recupero (pressione).

    Un altro grande principio tipico delle mie squadre è il pressing alto secondo i principi del gioco a zona. Per me, il pressing non è altro che un metodo per ritornare al possesso di palla, ma ha senso solo se poi la squadra sa fare un buon uso del vantaggio acquisito. Quando arrivai a Leiria, la Uniao giocava con molti giocatori dietro al pallone, con un sistema di contropiede o di attacco rapido ma la sua organizzazione offensiva era decisamente estemporanea. Il mio obiettivo era di trasformarla in una squadra che sapesse imporsi, incrementando il possesso, le sue iniziative, con un controllo del gioco maggiore e in grado di portare un’azione offensiva pià continuata. Solo allora, la squadra avrebbe iniziato a difendersi bene, senza più schiacciarsi indietro a difendere (secondo il principio di <<popolazione>>), come fanno alcune squadre che creano difficoltà all’avversario non per la qualità del gioco difensivo ma per la densità di uomini. Se una squadra si serie C con giocatori tecnicamente inferiori, ma tutti chiusi a difendere nella propria tre quarti campo, si scontra con il Real Madrid, lo metterà in difficoltà. Ma questa non è la mia idea, io voglio difendere bene, ma non con le barricate.

    Difendere bene vuol dire difendere poco, difendere per il minor tempo; è conservare il pallone per il maggior tempo possibile, mantenere l’iniziativa del gioco, non farsi mettere nelle condizioni di difendere continuamente. Per altri, difendere bene è difendere in

    modo compatto – per esempio – con tutti i giocatori dietro la linea della palla, a chiusura di tutti gli spazi. Per altri difendere bene è annullare i giocatori più importanti della squadra avversaria. Per me, è un fatto di sottrazione, in termini di tempo, cioè vincolato al momento in cui perdi palla. Si può difendere bene in ogni luogo del campo. Ebbene, io preferisco difendere lontano dalla mia porta, perchè quando recupero palla, sono più vicino alla porta avversaria, che è l’obiettivo del mio gioco.

    C’è chi dice che i giocatori più creativi devono essere svincolati da compiti difensivi. Io credo che chi dice questo conosce poco il calcio. Può dirlo un tifoso, un giornalista o un critico che non se ne intende, o un allenatore che non è arrivato ad alti livelli oppure ci è arrivato ma non si è affermato, perchè nel calcio di oggi questi concetti sono superati. Gli undici che scendono in campo devono essere all’altezza sia in fase di possesso palla sia quando è l’avversario ad avere il pallone tra i piedi.

    Difendere a zona e pressare a zona sono due cose totalmente diverse. Una cosa è difendere una zona dove, per le posizioni sul campo e quelle assunte da tutti i giocatori in funzione della posizione della palla quando questa ce l’ha l’avversario, si cerca di accorciare gli spazi, creare difficoltà e sperare nell’errore. Allo stesso modo, difendere a zona facendo pressing significa avere un buon gioco di posizione, ma attivo poichè teso ad aumentare al massimo le difficoltà dell’avversario nel tentativo di recuperare palla il prima possibile. Insomma: nel calcio di alto livello, non c’è difesa a uomo, ma esiste una difesa a zona che non mi convince e una difesa a zona che porta il pressing; e quest’ultima tipologia decide il calcio del presente e quello futuro. I difensori centrali delle mie squadre non marcano a uomo, ma difendono a zona con una linea di quattro che si muove a seconda della posizione della palla.

    Penso che non ci siano due sistemi a zona con pressing identici. Per esempio: per me quello che fa il Milan è fantastico, tanto che contro di noi a Oporto, giocò con due linee di quattro uomini e riuscì in qualche modo a fronteggiare una squadra che aveva a centrocampo quattro grandi giocatori. Ora, anche se la sua zona a pressing è fantastica, si basa su un concetto diverso dal nostro. Per esempio, rimanendo sul Milan, con tre linee, loro fanno pressione orizzontale, noi con sei facciamo lo stesso in profondità.

    Tanto per iniziare, noi abbiamo definito la distribuzione del pressing in funzione del posizionamento dell’avversario. Conoscendo più o meno il sistema degli avversari, la mia squadra saprà come comportarsi. Per esempio, immaginiamo di giocare contro il Benfica, squadra che adotta il 4-3-3, ma che in questa partita si schiera con tre centrali. Nessun problema, dato che sappiamo come posizionarci rispetto ad una simile evenienza. Dunque,tranne in rare eccezzioni, la mia squadra non stravolge mai il suo sistema basato sul possesso di palla. Decidiamo prima come giocare, e così giochiamo, senza dare troppa importanza al sistema adottato dall’avversario. Quando non è in nostro possesso, dobbiamo avere la capacità di leggere il sistema rivale, adattare il nostro possesso di palla a tale posizionamento. Per esempio, se i miei attaccanti giocassero davanti ad una difesa a tre piuttosto che a quattro, il loro posizionamento sul campo cambierebbe, in funzione del posizionamento della difesa avversaria. Ma che sia chiaro: la mia squadra non rimarrà ingabbiata, in nessuna circostanza, chiunque sia l’avversario. Un esempio: avere due attaccanti per fare pressione su quattro uomini non è lo stesso che averene due per tre più due. E, se inizialmente, il movimento offensivo delle ali deve essere definito in una certa maniera, se c’è una sostituzione, si difenderà con un altro sistema. Nessuno gioca più uomo contro uomo o in funzione dei singoli, bensì in funzione degli spazi.

    Penso che uno schema con baricentro basso sia facile da attuare. Non ha bisogno di grandi doti di comando o di particolari feedback. Il baricentro basso è un baricentro basso, basta solo definire il contenuto visivo del blocco, niente di più. La leadership, nella fase difensiva, è relazionata al movimento, con la zona e con la capacità di alcuni giocatori di orientare le azioni collettive, per la loro posizione in campo o per la loro capacità di analisi del gioco. Per questo ci sono giocatori fondamentali per la fase difensiva. Ebbene, quando si tratta di baricentro basso, di campo corto, di unire le linee è tutto facile. É quel che dico ai miei giocatori. Quando risulta difficile giocare  in una zona sotto pressing o fare un cambio molto rapido, a causa della fatica, della forza dell’avversario, o per una dinamica offensiva che ci crea qualche problema, dico loro di abbassare il baricentro, di chiudere le fasce ed accentrare il gioco. Perciò, dal punto di vista dell’efficacia, è molto più facile giocare con un baricentro basso piuttosto che alto. Molto più facile.

    Una squadra, che per il modo di giocare difensivo, finisce per essere anarchica rispesso alle posizioni, non ha altra possibilità che quella di far girare velocemente la palla nel momento in cui ne rientra in possesso. Per questo, affinché l’anarchia sia efficace, la squadra deve mantenere il possesso di palla e aprire il gioco. Pertanto, secondo me, una squadra che voglia attaccare continuamente, che voglia mantenere il possesso palla, l’iniziativa di gioco, deve essere ben posizionata e ciò si ottiene solo difendendo a zona.

    Noi ci alleniamo in situazioni specifiche per sapere, in ogni momento, che se corriamo il rischio di attaccare male, possiamo sempre recuperare rapidamente il possesso di palla o, al contrario, decidere per una circolazione prolungata se vediamo che non ci sono buone possibilità di creare pericoli. Questò perchè la forma di gioco delle mie squadre è tremendamente faticosa. Quando non abbiamo la palla, iniziamo subito le azioni pensando a come recuperarla e ciò implica andare verso l’area avversaria. Questo sottopone i giocatori a un gran dispendio di energie per cui, dopo aver recuperato il pallone, devono decidere se sono in condizioni di attaccare immediatamente e continuare così a spendere energie o se , al contrario, non sono in questa condizione e dunque scelgono di riposare facendo circolare la palla.

    La transizione difensiva-attacco deve avere una relazione intima con la nostra forma offensiva di giocare. Quando una squadra fa pressing molto alto, ha poi bisogno di recuperare. E che cosa è meglio: riposarsi con il pallone o senza? Voglio che la mia squadra sappia riposarsi col pallone, ma per fare questo è necessaria una buona posizione di gioco, cioè che i giocatori occupino razionalmente lo spazio e che siano in grado di mantenere il pallone in loro possesso anche se ci sono momenti in cui l’obiettivo non è quello di dare profondità al gioco o di arrivare rapidamente in porta.

    Tratto dal libro: MOURINHO – Questione di metodo


  2. Brian Clough: Storia di un Vincente (Maledetto United)

    24 gennaio 2012 by Emiliano Adinolfi

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    A cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80 il calcio inglese vide salire alla ribalta un allenatore che passò alla storia come uno dei più innovativi e vincenti e che per certi versi ricorda molto Mourinho. Brian Clough nasce a Middlesbrough il 21 Marzo del 1935.Da giocatore si fa conoscere per il suo carattere da duro, ma è da allenatore che ottiene la sua consacrazione. Si ritira, dal calcio giocato, all’età di 28 anni, diventando a 30 annil’allenatore più giovane del Regno Unito. Inizia la sua avventura sulla panchina dell’Hartlepools United, insieme al suo inseparabile amico Peter Taylor con cui aveva giocato insieme. Sodalizio questo che porterà a grandi soddisfazioni. Iniziano a costruire una squadra di giovani promettenti che raggiungerà la promozione quando saranno già passati sulla panchina del Derby County. Quando prendono le redini del Derby la squadra si ritrova in un’anonima posizione della seconda divisione inglese.

    I due iniziano a lavorare duramente raggiungendo presto la prima divisione, anche grazie alle innovazioni tattiche apportate dal duo. Un calcio basato essenzialmente sulla difesa e sul gioco palla a terra. Una volta Clough disse:” Se Dio avesse voluto che giocassimo a calcio fra le nuvole avrebbe messo l’erba lassù”. Dai suoi calciatori pretende applicazione e spirito di sacrificio mentre lui si sarebbe occupato di difenderli a spada tratta durante le conferenze stampa, un po’ come fa oggi Mourinho. Prepara maniacalmente la preparazione atletica scegliendo personalmente lo staff. Persona dotata di grande carisma era solito ascoltare solo i consigli del suo fidato Peter Taylor finendo per scontrarsi con i suoi superiori soprattutto con Sam Longson del direttivo del Derby.

    Ovviamente con un allenatore così le polemiche non mancavano di sicuro, ma la squadra dopo un avvio faticoso ottiene la promozione. L’anno successivo il Derby inizia a farsi rispettare anche in prima divisione iniziando a scalare posizioni su posizioni. Al “Baseball Gruond” mai avevano visto cose del genere e il primo anno il Derby ottiene un sorprendente quarto posto. Al terzo anno i ragazzi di Clough ottengono un sudatissimo quanto inaspettato scudetto. Dopo una stagione vissuta punto a punto con il Leeds, che all’epoca era considerata la migliore squadra del paese, il Derby nell’ultima di campionato battono il Liverpool e scavalcano il Leeds di un punto, che però deve ancora giocare in casa contro il Wolverampthon. Nonostante il Leeds venisse dalla vittoria in Coppa inglese contro l’Arsenal cadde incredibilmente perdendo per 2-1 e regalando l’inaspettato titolo al Derby. Talmente inaspettato che Clough era già in vacanza mentre i ragazzi del Derby erano impegnati in una tournee in Spagna sotto la guida del fidato Taylor e solo il giorno dopo apprendono la notizia.

    L’anno dopo grazie anche all’ambizione di Clough i ragazzi del Derby raggiungono la semifinale dell’allora Coppa dei Campioni dove incontrano la Juventus. Due partite che furono travolte dalle polemiche alimentate da Clough e dal suo assistente Taylor. L’andata vide gli italiani imporsi per 3 a 1 ma Clough dichiarò a fine partita di aver visto Italiani dentro lo spogliatoio dell’arbitro prima durante e dopo la gara. Le polemiche non si placano ma anzi Taylor prova ad aggredire l’arbitro rischiando addirittura l’arresto.

    La stampa internazionale inizia a descrivere Clough come una persona arrogante e ai limiti della decenza (ricorda qualcuno? ) Prima della partita di ritorno Clough con la sua solita abilità surriscalda gli animi in sala stampa, ma nonostante questo il Derby non riuscirà a ribaltare il risultato dell’andata. A questo punto Clough dopo l’ennesimo diverbio con il padre padrone del Derby, Sam Longston, decide di dimettersi. Pare che ad un emittente televisiva dichiarò;” Non sono il migliore allenatore del paese, sono solo il più bravo”, che ricorda tanto la dichiarazione di Mourinho quando disse:” Non sono il migliore, ma nessuno è migliore di me”. Alla base di questo litigio pare ci fosse il fatto che Sam Longston volesse un posto nella federazione e temeva che le continue polemiche del suo allenatore potessero danneggiarlo.

    Nel frattempo Don Revie, allenatore del Leeds era in trattativa con la nazionale inglese, mentre Clough stava trattando con un club di terza divisione, il Brighton. Clough e Taylor firmano un precontratto pretendendo anche deu settimane di vacanze pagate. Ma mentre era in vacanza viene contattato dai dirigenti del Leeds decidendo così di rompere con il Brighton. Ma il suo amico Taylor non se la sente di rimangiarsi la parola data e lascia andare da solo Clough al Leeds.

    Qui affronta un periodo buio della sua carriera, si scontra con il nucleo storico del Leeds, soprattutto con il capitano, ottenendo modestissimi risultati. La dirigenza del Leeds decide di sollevarlo dall’incarico e Clough pretende una buonauscita che sembra un opera di strozzinaggio. Così quando un dirigente gli chiede chi pensasse di essere, lui rispose così:”io? Sono Brian Howard Clough”. E se ne andò. Nel frattempo tutti gli dicevano che i suoi successi erano dovuti alla grande abilità del suo amico Taylor e che senza di lui non sarebbe riuscito da nessuna parte. Decide di fare la pace con il suo amico e tornare a lavorare inseme. Decide così di passare alla guida del Nottingham Forrest all’epoca in seconda divisione, considerata da tutti una scelta che segna la fine della carriera di Clough.

    Ma grazie alla sua dedizione riesce non solo a risollevare il club ma anche a portarlo alla vittoria di ben due Coppe dei Campioni consecutive. Impresa mai più eguagliata da nessuno. Considerato dagli esperti come una persona presuntuosa, arrogante e che parlava troppo.

     

    Se Dio avesse voluto che giocassimo al

     calcio fra le nuvole, avrebbe messo l’erba lassù.

    Brian Howard Clough

     

    Un tributo del film “Maledetto United” dove si racconta della storia di uno dei più grandi allenatori di calcio di tutto il pianeta e del suo assistente fidato Peter Taylor ..è anche l’unico ad essere riuscito a vincere due coppe di campioni consecutivamente(1979,1980) con il notthingam forrest.


  3. Football Tennis Barcellona

    12 gennaio 2012 by Emiliano Adinolfi

    Calcio Tennis Barcellona