1. Mourinho “Questione di metodo”

    19 giugno 2018 by Emiliano Adinolfi

    Sport - Soccer - La Liga - Barcelona Training

     

     

     

     

     

     

    Spunti interessanti da uno degli allenatori più amati ed odiati del Mondo.Unisce e divide,chi lo ama e chi lo odia.Un personaggio particolare, sicuramente spettacolare per via del suo rapporto diretto ed efficace con i mass media.Dal libro Mourinho “Questione di metodo” e dal parere di alcuni testimoni d’eccezione che hanno lavorato con lui.

    “Più che l’importante vittoria del Porto contro il potente Manchester United – unimamente riconosciuta come tale -, e indipendentemente dalla sorpresa che questa squadra ha suscitato, penso che si è ottenuto di chiudere la bocca a quei tanti che, senza dare motivazioni, avevano bocciato Mourinho per il semplice fatto di essersi arrischiato a criticare quei principi che per anni avevano rappresentato il credo di allenatori mediocri, poco applicati e soggetti a un servilismo inaccettabile nei confronti dei dirigenti delle squadre, anche loro limitati e contrari alla possibilità che qualcuno si opponesse al loro potere. Mourinho si è affermato contro la mentalità di quegli allenatori che ignorano le tecniche moderne e conservano prospettive antiquate.”

    Fernando Guerra

    … la differenza ruota attorno a due punti. Il primo è saper allenare (dato che non tutti lo sanno fare), saper guidare una squadra e ottenere determinati comportamenti tattici sul campo; il secondo riguarda la motivazione, la convinzione.”

    La differenza la fa il lavoro tattico; che però è ben diverso dalla tattica. Credo che quest’ultima sia finita ormai da parecchio tempo. Non esiste più l’allenatore che prepara bene la sua squadra dal punto di vista tattico, che prende la lavagna e dice: “Domenica giochiamo così…”. E’ durante la settimana che bisogna preparare la squadra in maniera tattica, allenare coltivando quello che si vuole ottenere… Questo si che è difficile. Ma è anche ciò che fa la differenza.”

    Per me l’allenamento è buono solo quando si riesce a mettere in pratica la mia idea; ciò significa che l’allenatore deve elaborare gli esercizi che portino la squadra a fare ciò che pretende sul campo.”

    In una squadra la cosa più importante è attenersi ad un determinato modello, determinati principi, conoscerli bene, saperli interpretare bene, indipendentemente dal ricorrere ad un giocatore piuttosto che a un altro. Questa è ciò che chiamo organizzazione di gioco…”

    La squadra ideale è quella in cui in un determinato momento di gioco tutti i giocatori pensano in funzione della stessa cosa simultaneamente. Questo è il mio concetto di squadra e si può ottenere solo con il tempo, il lavoro e la tranquillità.”

    Difendo la globalizzazione del lavoro, l’interazione fra componente fisica, tecnica, tattica e psicologica sono fondamentali. Non sapre dire dove comincia la parte fisica e dove termina quella psicologica, o quella tattica. Per me il calcio, e anche il calciatore, è globalità e non riesco a fare delle scomposizioni.”

    Io dico che una squadra, per avere successo, deve essere preparata al cento per cento. E quando dico cento per cento non riesco a distinguere ciò che è fisico da ciò che è tattico e da ciò che è psicologico. Un giocatore è un tutto, possiede caratteristiche fisiche, tecniche e psicologiche che devo sviluppare nel loro insieme. Io non svolgo con i miei giocatori lavoro fisico. Noi alleniamo in base ad un altro principio: “l’interazione fra tutte le componenti”, in base al quale lavoriamo su tutto simultaneamente, compreso il fattore motivazionale.”

    La forma non è fisica. La forma è molto di più. Il fisico è l’elemento meno importante nel conseguimento della forma sportiva. Senza organizzazione e talento nell’esplorazione di un sistema di gioco, le mancanze diventano palesi, ma hanno poco a che vedere con la forma fisica.”

    Non bisogna credere nei picchi di forma, nell’alternanza di volumi e intensità nel carico di lavoro; non credere nella mole di lavoro, bensì solo nell’intensità: abbiamo mantenuto un lavoro intenso dal primo all’ultimo giorno della stagione.”

    Uno degli elementi che rendono l’allenamento più intenso è il livello di concentrazione richiesto. Per esempio, la corsa fine a se stessa presuppone un dispendio energetico naturale; la sua complessità, però, è nulla, per cui il dispendio emozionale tende a zero, al contrario delle situazioni complesse, dove ai giocatori è richiesto l’impegno tecnico, tattico, psicologico e di pensare le situazioni. E’ questo che rappresenta la complessità dell’esercizio e che porta ad avere una maggiore concentrazione.”

    E’ importante che il giocatore lavori bene, con un tempo effettivo di allenamento relativamente elevato, con intensità alta, ma che ci sia anche il tempo per riposare, per la famiglia, e del tempo libero per svagarsi. Si parla molto di dispendio e di recupero fisico; io invece penso in termini di affaticamento del sistema nervoso centrale.”

    “E’ tutto organizzato, dal primo all’ultimo minuto. Se l’allenatore dice che ci alleniamo per novanta minuti è perchè dobbiamo lavorare per tutti i novanta minuti. Se l’allenamento è suddiviso in più parti, ciascuna dura il tempo programmato. Tutto sembra collegato con quanto richiesto dalla gara e nessuno si ferma un minuto.”

    Gudjohnsen

    “Il miglior allenatore che abbia mai avuto. Con lui non esistono allenamenti fatti tanto per passare il tempo né stupide corsettino intorno al campo; si lavora esclusivamente in funzione dell’avversario successivo e ci alleniamo per batterlo.”

    Vitor Baia

    “La rinascita del Chelsea è merito suo. Dimostra tutta la sua conoscenza e la comprensione del calcio, mettendo in pratica, negli allenamenti, esattamente ciò che succede in partita.”

    Drogba

    “Noi giocatori scendiamo in campo e sappiamo già tutto quello che dobbiamo fare e come. Tutti, dal portiere agli attancanti. E’ questa la ragione del nostro successo.”

    Joe Cole

    “Ha un metodo di allenamento fantastico. Gran parte dei giocatori al Chelsea sono rimasti affascinati.”

    Pedro Mendes


  2. La gestione del gruppo Adinolfi Emiliano

    5 giugno 2018 by Emiliano Adinolfi

    33923699_2145389078809892_488009250916794368_o

     

     

     

     

     

     

     

    Il tecnico originario di Ceccano ha lasciato dopo aver ottenuto un decimo posto che assume ancor maggior pregio, se si considera che al momento del suo insediamento in panchina, la formazione gialloblu navigava in acque assai perigliose.

    “Sapevo che la mia missione era portare in salvo la squadra e, considerando che a novembre eravamo diciassettesimi e che nel girone di ritorno abbiamo raccolto qualcosa come trentasei punti, credo di averla portata a termine – esordisce in tono tranquillo ai nostri microfoni l’allenatore – Questo era un torneo molto equilibrato e non a caso sono arrivate retrocessioni di piazze importanti come Roccasecca, Formia e Colleferro.

    Per il resto, anche con il Roccasecca l’anno prima ci eravamo salutati all’indomani della salvezza, quindi non intendo aprire alcuna polemica nei confronti dell’Arce, che peraltro ringrazio per l’opportunità, come ringrazio tutti coloro che hanno collaborato con me.

    Ieri ho anche avuto modo di sentire capitan Lillo che, facendosi portavoce della squadra, mi ha chiamato per salutarmi.

    Dico ovviamente grazie anche lui ed a tutti i calciatori”.

    Da quando si è dedicato alle prime squadre, Adinolfi ha condotto alla salvezza Ceccano, Morolo, Roccasecca ed Arce.

    Di fatto, ha lasciato la sua impronta in quasi tutte le realtà della provincia ciociara.

    “Ma io non avrei problemi ad allenare anche altrove – sorride l’allenatore – In effetti, non sono mancati contatti con club romani e pontini, ma poi i discorsi non si sono concretizzati.

    In futuro sono aperto a qualsiasi possibilità, non ne faccio una questione di categoria, nè di collocazione geografica, a patto che sussistano i presupposti.

    Ad eccezione di quest’anno, ho sempre avuto modo di lavorare fin dalla preparazione su una squadra, ma sono ben consapevole che nel calcio può capitare qualunque cosa.

    Guarda quanti allenatori bravi subentrano in corsa.

    D’altronde, se il budget di una società è quello, non si possono fare miracoli…”.

    Resta però la sensazione che taluni tecnici vengano chiamati solo quando c’è da raggiungere la salvezza, mentre altri ottengano più facilmente l’opportunità di guidare squadre più competitive.

    “Cosa vuoi che ti dica, penso sia desiderio di tutti fare campionati da vertice – glissa Adinolfi – Ormai so come vanno le cose nel nostro calcio.

    Viaggio verso le 250 panchine in Eccellenza e certi meccanismi li conosco come il giardino di casa mia.

    Chi è pratico del nostro ambiente sa che certi allenatori vengono ingaggiati per raggiungere un certo tipo di obiettivo ed altri per conquistare traguardi diversi…”.

    L’ultimo Girone B di Eccellenza laziale ha celebrato il successo del Città di Anagni, che con merito ha chiuso davanti al favoritissimo Pomezia.

    “Vanno fatti i complimenti ai biancorossi ed a mister Gerli – riflette il tecnico – Per me il loro successo non ha rappresentato una sorpresa in senso assoluto, già ai nastri di partenza mi sembrava che disponessero di un organico importante.

    Il Pomezia aveva in squadra dei mostri sacri come Panella, Tajarol e Gamboni, ma non sempre vincono i nomi.

    Resta inteso che il giorno in cui li battemmo in casa loro, fummo artefici di una grandissima prestazione”.

    Soddisfazioni e traguardi che hanno arricchito negli anni le competenze di un allenatore giovane, ma che ha già avuto modo di farsi apprezzare nel nostro ambiente.

    “Rispetto agli inizi, sento di essere cresciuto nella gestione dello spogliatoio – chiosa Adinolfi – Io credo che, specie tra i dilettanti, sia di fondamentale importanza non solo pianificare una stagione e conoscere bene il valore delle squadre che affronterai, ma anche riuscire a toccare le corde giuste del gruppo a tua disposizione con la dovuta umiltà.

    Fonte Sport in Oro Andrea Dirix