1. Lezione a Zemanlandia

    10 aprile 2012 by Emiliano Adinolfi

    Tratto da un intervista al mister Zeman durante un incontro con l’Assoallenatori

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    Le punizioni esterne 

    Parla di quelle sulla propria trequarti oppure nei pressi dell’area di rigore. Ci sono più punti di riferimento precisi sia per i difensori sia per gli attaccanti avversari. I primi hanno il compito di occupare la propria zona controllando l’avversario che vi entra e proteggere la porta, obiettivo principe dei secondi.
    Ci dice mister: «La difesa ha il dovere di chiudere gli spazi vuoti, la palla lunga deve diventare preda del portiere, mentre quelle più corte e basse dovrebbero essere intercettate dal giocatore più vicino alla sfera, con i compagni che, letta la traiettoria, scivolano verso di lui rimanendo tutti su una linea. Perché utilizzando le coperture in diagonale si regala profondità all’avversario. Gli attaccanti in questo caso sono svantaggiati rispetto ai difensori perché danno le spalle alla porta, ma quest’ultimi hanno il problema di ostacolare e controllare gli inserimenti da dietro che possono nascere da una spizzata o da una “torre”».
    La filosofia è simile quando si tratta di una punizione laterale nei pressi dell’area di rigore: «Preparo un uomo in direzione del primo palo in modo che possa intercettare la palla bassa e formo un rombo con altri quattro giocatori a centro area, mai dentro l’area piccola, perché questa è territorio del portiere. Il “rombo” ha il compito di muoversi alla ricerca della palla, osservando il comportamento degli avversari e cambiando leggermente forma a a seconda di quanto accade. Solitamente sono i migliori saltatori della mia squadra. In più, mi capita di utilizzare un accorgimento particolare nei confronti delle formazioni che hanno un calciatore particolarmente bravo nel gioco aereo. Faccio stazionare nei pressi un “piccoletto”, in modo da disturbarlo nel momento in cui prende la rincorsa per staccare».
    Come si completa lo schieramento in questa situazione? Solitamente l’allenatore di Praga predispone due uomini in barriera, due al limite dell’area per evitare le giocate schema, pronti a ripartire appena conquistato il pallone, e uno nei pressi del secondo palo, il controllore delle traiettorie più lunghe.

    I corner 


    Sempre con dieci calciatori più il portiere a difesa della porta… «Anche se, purtroppo, – ci dice il mister – molti attaccanti tornano per… riposarsi e sono di poca utilità per la squadra. Mi sono anche chiesto cosa potrebbe succedere se tenessi 2,3 e perché no 5 attaccanti nella metà campo avversaria… ma così facendo cadrebbero i principi del gioco del calcio. Uno dei primi prevede che in difesa bisogna sempre cercare di creare superiorità numerica, non inferiorità».
    La disposizione base di Zeman prevede un uomo a nove metri dal punto di battuta «per chiudere sulle palle veloci e le giocate schema degli avversari. E’ utilissimo, può anche non essere un gigante, ma ha il dovere di provare a intercettare le traiettorie a “girare” sul primo palo, ultimamente molto ricorrenti in serie A»
    Oltre ai quattro giocatori a rombo «che guardano la sfera e la attaccano muovendosi lateralmente o in avanti, mai indietro», posiziona un altro elemento sul vertice dell’area del portiere a ulteriore protezione dagli inserimenti sul primo palo con corner calciati forti e tagliati in tale zona. Poi c’è il portiere: «Nell’area piccola comanda lui, dovrebbe fare un passo in avanti quando presume una traiettoria a uscire e rimanere in posizione d’attesa quando il corner dovrebbe essere a rientrare… così dicono i preparatori dei numeri uno e io lascio a loro la gestione dei loro “pupilli”».
    Inoltre, c’è un calciatore sul palo e uno che occupa la zona vicina al secondo per chiudere eventuali inserimenti dopo possibili spizzate e uscire insieme al giocatore davanti a lui per le combinazioni studiate sugli avversari. Infine, schiera due elementi che stazionano al limite: «Non devono seguire gli avversari, ma rimanere in posizione perché spesso gli schemi avversari tendono a spostarli per calciare dal limite. Con l’Udinese quest’anno non si è applicato questo principio e abbiamo preso gol.
    Comunque conoscendo le peculiarità degli avversari si può sempre decidere di “irrobustire” le zone sul primo o secondo palo.»
    Per concludere l’argomento sui calci d’angolo, continua il tecnico: «A volte questa disposizione funziona altre no, ripeto… è questione di attenzione.
    Qualche squadra mi ha anche chiesto di marcare a uomo in queste situazioni dopo qualche gol di troppo. Cosa ho risposto? “va bene, proviamo”. Ma dopo due partite sono venuti da me dicendomi: “Mister, torniamo a zona!”»

    La barriera 


    «Ho una mia teoria particolare – afferma il “boemo” – su questo accorgimento tattico. Per le punizioni indirette, ad esempio, si prepara un bel “muro” e poi gli avversari muovono la palla e i primi due uomini non servono a niente perché si rimane tutti fermi. Ecco perché credo che l’ideale sia costruire una barriera attiva, che si sposta tutta insieme, come un un unico blocco – se salta un giocatore, devono saltare anche gli altri, ad esempio – a seconda del tocco effettuato.
    Comunque, quando la sfera è posizionata in zona leggermente esterna, suggerisco di coprire un palo con tre uomini e il secondo con un giocatore. Se vogliono tirare forte centralmente c’è il portiere che copre lo spazio libero. Con palla centrale, stessa cosa: due giocatori a proteggere un palo e due per l’altro, con il portiere al centro. A Foggia abbiamo più volte adottato questa soluzione che funzionò. E’ anche normale che poi gli avversari posizionino un secondo muro per coprire la palle… ma ci sono ulteriori accorgimenti per agevolare l’estremo difensore. Come quello di “staccare” un difensore per far vedere la palla al portiere. Dimenticavo: se tirano dai 30-35 metri, meglio non posizionare la barriera. Si darebbe un punto di riferimento al tiratore.»
    Ma il mister, nel caso di tiri dal limite dell’area richiede altre attenzioni: «Desidero che la barriera capisca il tipo di traiettoria che il tiratore ha intenzione di imprimere alla palla e salti nel caso di un tiro a giro verso l’incrocio dei pali. Ci sono pochi tiratori che riescono a calciare sotto la barriera in queste situazioni. E ancora… i portieri devono smettere di pensare che se prendono gol sul loro palo è una vergogna, mentre se lo subiscono sopra il “muro” non potevano farci niente. Loro devono solo evitare la rete. Punto e basta!»

    Sempre compatti 


    Molti gol su palla ferma sono dovuti alla bravura degli attaccanti, ma una buona parte sono causati dalla distrazione. Inoltre, non è semplice prepararsi durante la settimana per queste situazioni: i giocatori non danno sempre il massimo quando si provano movimenti e posizioni. Infatti, «se si considera la barriera,durante le sedute i giocatori si voltano di schiena o di fianco, hanno paura di prendere una pallonata… è normale. Forse dovrei usare palloni di gommapiuma! Lo stesso vale per i corner: quasi nessuno salta deciso, c’è il timore di un contrasto aereo, di una gomitata involontaria:. Non ho ancora trovato soluzioni per migliorare l’allenamento in questi casi».
    Zeman, inoltre pone la sua attenzione sull’importanza della ripetitività delle varie situazioni: «E’ vero che può risultare noioso, ma è l’unico modo per automatizzare i movimenti, per imparare ad agire tutti insieme». Infatti, continuando a ripetere, si agisce quasi inconsciamente, riconoscendo la situazione. E «si gioca l’uno per l’altro, con ad esempio i quattro difensori che sono un tutt’uno in campo. Una volta, quando lavoravo nel settore giovanile, persi una partita 4-1 e il mio difensore centrale uscì dal campo soddisfatto; mi disse “mister, il mio non ha segnato”. Non vi dico la mia risposta! Il calcio è uno sport di gruppo e si hanno notevoli vantaggi nel giocare insieme»
    E come si riesce a far apprendere tutti i nuovi movimenti? Lavorando con atleti motivati e concentrati «che nell’ora e mezza di allenamento danno il massimo e si applicano costantemente. Si viene al campo per fare calcio, non per discutere di donne e motori. Poi, dovrebbero tornare a casa e riesaminare mentalmente quanto fatto. Sarebbe l’ideale, ma pochi si comportano in tal modo. Senza dimenticare che è anche compito del mister spiegare sempre quanto si esegue in settimana, i giocatori non devono essere meri esecutori, ma capire ciò che stanno facendo. Non mi piacciono i robot. Comunque, per apprendere al meglio il lavoro, ritengo fondamentali le pause tra un’esercitazione e l’altra, sono indispensabili per metabolizzare quanto svolto».


  2. Zeman a 360° gradi

    by Emiliano Adinolfi

    Tratto da un intervista al mister Zeman durante un incontro con l’Assoallenatori

     

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    Mai distratti 


    «Effettivamente la passata stagione – esordisce il tecnico ceco – a Lecce abbiamo preso qualche gol di troppo in queste occasioni. Ma era solo questione di concentrazione, perché gli stessi concetti, leggermente adattati agli interpreti, hanno funzionato perfettamente in altre realtà. Era necessario unicamente che i giocatori mettessero in pratica con maggiore abnegazione e in modo preciso le teorie esposte più volte alla lavagna, provate poi sul campo durante le sedute, perché ci sono delle “regole” e se non le si rispettano, si paga.»
    Ecco come incomincia la sua esposizione Zeman e a riprova di ciò, del fatto che i giocatori mancano di attenzione, porta un esempio: «Basta osservare cosa succede nel momento del calcio d’inizio. Calciatori che si aggiustano i calzettoni, altri i pantaloncini, taluni le scarpe… non sono concentrati e lo stesso accade sui calci piazzati».
    Ma perché marcare a zona sulle palle inattive? Far sentire la propria presenza fisica all’avversario, il cosiddetto fiato sul collo può essere determinante in un momento topico della partita. Non è d’accordo il mister: «Innanzitutto, con questa scelta tattica non si vedono maglie tirate e trattenute varie… non è sportivo comportarsi così. E poi, per ottenere risultati positivi, occorre rispettare le consegne, tutte le zone saranno certamente coperte, però mai stare fermi ad aspettare che… il pallone mi cada sulla testa. E’ indispensabile essere sempre attivi, valutare la traiettoria della palla, i movimenti dei giocatori e attaccare la sfera per conquistarla».
    Continua subito l’ex allenatore del Lecce: «I giocatori, utilizzando la zona sulle palle ferme, hanno come riferimento principale la sfera, non l’uomo. Quindi non devono seguire un attaccante che magari termina la sua corsa dentro la porta… l’importante è che in questa non vi entri la palla. Inoltre, si trovano più facilmente le contromisure ai blocchi e veli usati per ostacolare la marcatura a uomo».
    Infine, non dovrebbe essere così difficile sfruttare la zona anche in questo contesto: infatti, il principale concetto per la fase difensiva è quello di creare superiorità numerica e… «sulle palle ferme i difendenti sono sempre più degli attaccanti. Quindi, potrebbe bastare occupare gli spazi, coprire le palle lunghe, intercettare quelle sul corto e non dovrebbero esserci problemi. Ma è l’attenzione che fa la differenza, ricordatelo sempre».
    Dopo questa premessa, il mister ha iniziato la sua analisi delle principali situazioni su palla inattiva, specificando immediatamente che non avrebbe trattato la rimessa laterale («Prima di tutto, i calciatori non sanno usare bene le mani, sono quasi più imprecisi che con i piedi. Inoltre, con le mani si può lanciare la sfera al massimo per una quindicina di metri e occupare questo spazio non è così difficile»).

    Il rinvio del portiere
    Inizia in tal modo Zeman: «Solitamente tutte le squadre si ammucchiano nel cerchio di centrocampo, con i calciatori che sperano di arrivare casualmente alla conquista della sfera. Io desidero evitare questo, pertanto, i quattro difensori, partendo rigorosamente in linea, nel momento in cui il portiere prende la rincorsa, arretrano (si staccano, in gergo tecnico, nda) di una decina di metri e poi attaccano la palla… voglio difendere in avanti! Chiaramente con le logiche coperture su chi va a saltare e salendo tutti insieme dopo che è stata colpita la sfera. Muovendosi subito, non dopo che la respinta è magari controllata da un avversario. Ci vogliono i tempi giusti anche per questo».
    Nella concezione zemaniana tutto ciò significa pressare immediatamente il portatore di palla appena questi ne entra in possesso e non aspettare mai sulla linea di centrocampo per contrastarlo. Tale idea è confermata anche dal fatto che il tecnico non vuole che la squadra “scappi”, lasciando il possesso agli avversari, e si posizioni preventivamente in difesa, ma abbia come prima idea quella di conquistare la sfera per impostare immediatamente un’azione offensiva. Infatti, «le tre punte rimangono alte, pronte per ripartire o contrastare un eventuale passaggio del portiere che potrebbe preferire una giocata più corta. Sono un riferimento più importante per tutta la squadra, perché, ottenuto il possesso, ogni giocatore ha il compito di trovare uno di questi tre uomini».
    E gli altri atleti? Il metodista, sempre secondo le sue caratteristiche, può rimanere quindici metri davanti alla difesa e “cercare” la palla, sempre che non ci sia un avversario nella sua zona, oppure avvicinarsi a uno di questi per disturbare il suo stacco. I centrocampisti esterni invece si stringono centralmente, ma devono essere pronti ad allargarsi celermente in fascia perché «entrati in possesso la sfera deve arrivare subito nella loro zona. Sono loro a far ripartire la squadra». Il portiere? Non deve certo stare sulla linea di porta «ma giocare con la squadra.
    Intanto, il numero uno avversario non può certo segnare rinviando la palla dalla propria area e neanche gli attaccanti possono far gol direttamente di testa! Quindi, deve stare fuori dai pali e coprire le spalle ai difensori su eventuali spizzate»

    Zeman chiede un comportamento simile anche per calci di punizione nella metà campo avversaria: «Vale il discorso fatto in precedenza. La linea difensiva si “stacca” immediatamente per “chiudere” come prima intenzione la palla lunga. Così che i giocatori non corrano fianco a fianco con l’avversario mentre la sfera è in volo. Infatti, i difensori devono andare incontro alla palla muovendosi in direzione della porta avversaria, non verso la nostra rete insieme alle punte dell’altra squadra. Inoltre, è mia intenzione costringere gli avversari a giocare in zona laterale in modo da contrastare più facilmente il possessore della sfera e chiudere i riferimenti più vicini, lasciando libero il lato debole (dove si può ripartire anche in modo efficace, nda)».
    Se c’è invece una punta che va incontro alla sfera? il più delle volte è meglio che se ne occupi un centrocampista perché «se deve uscire un difensore, sganciandosi troppo in avanti, libera la zona dietro di lui e lì possono inserirsi gli avversari».


  3. Mourinho ” Questione di METODO”

    28 marzo 2012 by Emiliano Adinolfi

    Tratto dal libro: MOURINHO – Questione di metodo

    Avere in mano il pallino del gioco, non perdere la propria personalità di fronte ai rivali, sono caratteristiche delle mie squadre. Lo erano già quando allenavo il Leira, un club che non aveveva questi obblighi. Per me, la cosa più importante è sempre la mia squadra non gli avversari. A volte succede di cambiare sistema di gioco, ma non lo facciamo mai per adattarci al gioco che fanno gli altri, non è questo il motivo che ci porta a cambiare. Avere un modello definto e non scappare da questo è un marchio delle mie squadre. Ed è fondamentale che sia così.

    La qualità migliore che può esibire una squadra è quella di giocare come una squadra; è più importante persino che avere uno o due grandi giocatori. La squadra più forte non è quella che ha i migliori giocatori, ma quella che gioca come una squadra.

    Giocare come una squadra è avere un’organizzazione, determinate regole che fanno si che nei quattro momenti del gioco, tutti i giocatori pensino in funzione dello stesso obiettivo simultaneamente e questo è un risultato che si raggiunge con il tempo, il lavoro e la tranquillità. Perchè una cosa è che i giocatori acquisiscano e provino a fare quel che io voglio e un’altra cosa è ottenerlo come squadra. Per questo c’è bisogno di tempo.

    Non arrivo a teorizzare una distinzione riguardo all’origine dell’organizzazione, se questa inizi dalla difesa o dall’attacco. Non voglio considerare le cose in modo tanto analitico. Quando preparo la mia squadra per qualsiasi partita, lo faccio con l’intenzione di vincere, allenando nella stessa maniera il reparto difensivo come quello offensivo. Per questo non posso dire da quale reparto inizio a preparare la mia squadra.

    Non è mia abitudine affrontare le partite preoccupandomi più dell’organizzazione difensiva che di quella offensiva, per la stessa ragione per cui non preparo nessuna partita senza rendere i giocatori consapevoli della loro funzione sia offensiva che difensiva; anche il portiere ha un compito offensivo, e anche in allenamento prende parte a questa fase. Per questo non sono d’accordo con la distinzione. La partita deve essere pianificata in modo equilibrato, come gli allenamenti. Non so dire se è più importante difendere bene o attaccare bene perchè non separo questi due momenti: la squadra è un tutto indivisibile e funziona come tale. Sono aspetti troppo compenetranti uno con l’altro perchè si possa pensare di scinderli.

    In una squadra che ambisce a essere grande, tutti i giocatori devono partecipare ai quattro momenti del gioco…portiere compreso. Ho ben chiaro in mente che il controllo del gioco passa dal possesso di palla. Controllare il gioco vuol dire gestire la palla e sapere cosa farne. La mia idea tattica principale passa dall’avere ben chiara l’idea di un calcio moderno. Ben prima di segnare, è importante avere il controllo della palla.

    Voglio anche che la palla circoli velocemente e per questo occorre avere un buon gioco di posizione, vale a dire: tutti i giocatori devono sapere che in una determinata posizione si trova il compagno, che dal punto di vista delle geometrie c’è gia qualcosa di costruito sul terreno di gioco che permette loro di anticipare l’azione.

    Allargare gli spazi quando si attacca, stringere le linee quando si difende, aggredire immediatamente se si perde il  pallone, una struttura di posizionamento fissa e una mobile: alcuni giocatori hanno posizioni fisse in campo e altri, per la loro dinamica, possono svariare anche se devono mantenere un equilibrio di posizione. La mia squadra non può rinunciare a vincere le partite, ma nemmeno può perdere la tranquillità e l’equilibrio di posizione. I giocatori devono mantenere una linea di gioco offensiva, ambiziosa, nella quale sia netta l’intenzione di voler vincere senza perdere il controllo dello spazio, la tranquillità e la comunicazione tra di loro. Quest’ultimo è un aspetto fondamentale.

    Mi piace che la mia squadra controlli il pallone, che lo faccia circolare, che abbia un buon gioco di posizionamento e che i giocatori sappiano chiaramente come occupare gli spazi. Insieme a questo, anche difendere bene e avere qualità individuale, sono aspetti decisivi. Un buon posizionamento difensivo come squadra, a formare un blocco coeso che possa giocare con linee molto vicine, è un’altra caratteristica della mia squadra. Ci sono squadre molto preoccupate dell’aspetto difensivo e per questo, durante le partite, si trovano in imbarazzo quando sono costrette a passare dal pressing al possesso di palla. É un aspetto sul quale lavoro molto: ripartire dopo aver riconquistato il pallone. Ci vuole la capacità di giocare a protezione della difesa, e una volta entrati in possesso di palla, saper variare questa modalità fondamentale: recuperare le posizioni in campo o far uscire la palla dalla zona di recupero (pressione).

    Un altro grande principio tipico delle mie squadre è il pressing alto secondo i principi del gioco a zona. Per me, il pressing non è altro che un metodo per ritornare al possesso di palla, ma ha senso solo se poi la squadra sa fare un buon uso del vantaggio acquisito. Quando arrivai a Leiria, la Uniao giocava con molti giocatori dietro al pallone, con un sistema di contropiede o di attacco rapido ma la sua organizzazione offensiva era decisamente estemporanea. Il mio obiettivo era di trasformarla in una squadra che sapesse imporsi, incrementando il possesso, le sue iniziative, con un controllo del gioco maggiore e in grado di portare un’azione offensiva pià continuata. Solo allora, la squadra avrebbe iniziato a difendersi bene, senza più schiacciarsi indietro a difendere (secondo il principio di <<popolazione>>), come fanno alcune squadre che creano difficoltà all’avversario non per la qualità del gioco difensivo ma per la densità di uomini. Se una squadra si serie C con giocatori tecnicamente inferiori, ma tutti chiusi a difendere nella propria tre quarti campo, si scontra con il Real Madrid, lo metterà in difficoltà. Ma questa non è la mia idea, io voglio difendere bene, ma non con le barricate.

    Difendere bene vuol dire difendere poco, difendere per il minor tempo; è conservare il pallone per il maggior tempo possibile, mantenere l’iniziativa del gioco, non farsi mettere nelle condizioni di difendere continuamente. Per altri, difendere bene è difendere in

    modo compatto – per esempio – con tutti i giocatori dietro la linea della palla, a chiusura di tutti gli spazi. Per altri difendere bene è annullare i giocatori più importanti della squadra avversaria. Per me, è un fatto di sottrazione, in termini di tempo, cioè vincolato al momento in cui perdi palla. Si può difendere bene in ogni luogo del campo. Ebbene, io preferisco difendere lontano dalla mia porta, perchè quando recupero palla, sono più vicino alla porta avversaria, che è l’obiettivo del mio gioco.

    C’è chi dice che i giocatori più creativi devono essere svincolati da compiti difensivi. Io credo che chi dice questo conosce poco il calcio. Può dirlo un tifoso, un giornalista o un critico che non se ne intende, o un allenatore che non è arrivato ad alti livelli oppure ci è arrivato ma non si è affermato, perchè nel calcio di oggi questi concetti sono superati. Gli undici che scendono in campo devono essere all’altezza sia in fase di possesso palla sia quando è l’avversario ad avere il pallone tra i piedi.

    Difendere a zona e pressare a zona sono due cose totalmente diverse. Una cosa è difendere una zona dove, per le posizioni sul campo e quelle assunte da tutti i giocatori in funzione della posizione della palla quando questa ce l’ha l’avversario, si cerca di accorciare gli spazi, creare difficoltà e sperare nell’errore. Allo stesso modo, difendere a zona facendo pressing significa avere un buon gioco di posizione, ma attivo poichè teso ad aumentare al massimo le difficoltà dell’avversario nel tentativo di recuperare palla il prima possibile. Insomma: nel calcio di alto livello, non c’è difesa a uomo, ma esiste una difesa a zona che non mi convince e una difesa a zona che porta il pressing; e quest’ultima tipologia decide il calcio del presente e quello futuro. I difensori centrali delle mie squadre non marcano a uomo, ma difendono a zona con una linea di quattro che si muove a seconda della posizione della palla.

    Penso che non ci siano due sistemi a zona con pressing identici. Per esempio: per me quello che fa il Milan è fantastico, tanto che contro di noi a Oporto, giocò con due linee di quattro uomini e riuscì in qualche modo a fronteggiare una squadra che aveva a centrocampo quattro grandi giocatori. Ora, anche se la sua zona a pressing è fantastica, si basa su un concetto diverso dal nostro. Per esempio, rimanendo sul Milan, con tre linee, loro fanno pressione orizzontale, noi con sei facciamo lo stesso in profondità.

    Tanto per iniziare, noi abbiamo definito la distribuzione del pressing in funzione del posizionamento dell’avversario. Conoscendo più o meno il sistema degli avversari, la mia squadra saprà come comportarsi. Per esempio, immaginiamo di giocare contro il Benfica, squadra che adotta il 4-3-3, ma che in questa partita si schiera con tre centrali. Nessun problema, dato che sappiamo come posizionarci rispetto ad una simile evenienza. Dunque,tranne in rare eccezzioni, la mia squadra non stravolge mai il suo sistema basato sul possesso di palla. Decidiamo prima come giocare, e così giochiamo, senza dare troppa importanza al sistema adottato dall’avversario. Quando non è in nostro possesso, dobbiamo avere la capacità di leggere il sistema rivale, adattare il nostro possesso di palla a tale posizionamento. Per esempio, se i miei attaccanti giocassero davanti ad una difesa a tre piuttosto che a quattro, il loro posizionamento sul campo cambierebbe, in funzione del posizionamento della difesa avversaria. Ma che sia chiaro: la mia squadra non rimarrà ingabbiata, in nessuna circostanza, chiunque sia l’avversario. Un esempio: avere due attaccanti per fare pressione su quattro uomini non è lo stesso che averene due per tre più due. E, se inizialmente, il movimento offensivo delle ali deve essere definito in una certa maniera, se c’è una sostituzione, si difenderà con un altro sistema. Nessuno gioca più uomo contro uomo o in funzione dei singoli, bensì in funzione degli spazi.

    Penso che uno schema con baricentro basso sia facile da attuare. Non ha bisogno di grandi doti di comando o di particolari feedback. Il baricentro basso è un baricentro basso, basta solo definire il contenuto visivo del blocco, niente di più. La leadership, nella fase difensiva, è relazionata al movimento, con la zona e con la capacità di alcuni giocatori di orientare le azioni collettive, per la loro posizione in campo o per la loro capacità di analisi del gioco. Per questo ci sono giocatori fondamentali per la fase difensiva. Ebbene, quando si tratta di baricentro basso, di campo corto, di unire le linee è tutto facile. É quel che dico ai miei giocatori. Quando risulta difficile giocare  in una zona sotto pressing o fare un cambio molto rapido, a causa della fatica, della forza dell’avversario, o per una dinamica offensiva che ci crea qualche problema, dico loro di abbassare il baricentro, di chiudere le fasce ed accentrare il gioco. Perciò, dal punto di vista dell’efficacia, è molto più facile giocare con un baricentro basso piuttosto che alto. Molto più facile.

    Una squadra, che per il modo di giocare difensivo, finisce per essere anarchica rispesso alle posizioni, non ha altra possibilità che quella di far girare velocemente la palla nel momento in cui ne rientra in possesso. Per questo, affinché l’anarchia sia efficace, la squadra deve mantenere il possesso di palla e aprire il gioco. Pertanto, secondo me, una squadra che voglia attaccare continuamente, che voglia mantenere il possesso palla, l’iniziativa di gioco, deve essere ben posizionata e ciò si ottiene solo difendendo a zona.

    Noi ci alleniamo in situazioni specifiche per sapere, in ogni momento, che se corriamo il rischio di attaccare male, possiamo sempre recuperare rapidamente il possesso di palla o, al contrario, decidere per una circolazione prolungata se vediamo che non ci sono buone possibilità di creare pericoli. Questò perchè la forma di gioco delle mie squadre è tremendamente faticosa. Quando non abbiamo la palla, iniziamo subito le azioni pensando a come recuperarla e ciò implica andare verso l’area avversaria. Questo sottopone i giocatori a un gran dispendio di energie per cui, dopo aver recuperato il pallone, devono decidere se sono in condizioni di attaccare immediatamente e continuare così a spendere energie o se , al contrario, non sono in questa condizione e dunque scelgono di riposare facendo circolare la palla.

    La transizione difensiva-attacco deve avere una relazione intima con la nostra forma offensiva di giocare. Quando una squadra fa pressing molto alto, ha poi bisogno di recuperare. E che cosa è meglio: riposarsi con il pallone o senza? Voglio che la mia squadra sappia riposarsi col pallone, ma per fare questo è necessaria una buona posizione di gioco, cioè che i giocatori occupino razionalmente lo spazio e che siano in grado di mantenere il pallone in loro possesso anche se ci sono momenti in cui l’obiettivo non è quello di dare profondità al gioco o di arrivare rapidamente in porta.

    Tratto dal libro: MOURINHO – Questione di metodo


  4. Football Tennis Barcellona

    12 gennaio 2012 by Emiliano Adinolfi

    Calcio Tennis Barcellona

     


  5. Conduzione e dominio della palla

    2 agosto 2011 by Emiliano Adinolfi

    Video scuola calcio

    Chievo Verona

     

    La guida della palla  è parte integrante della  “tattica individuale” di un calciatore.La guida della palla è un fondamentale tecnico, e non è altro che la capacità del giocatore di poter avanzare nel terreno di gioco con la palla al piede, più egli sarà abile nel mantenerla meno possibilità avrà di perderla.Il possesso della palla può avvenire anche grazie alla conduzione della palla alla quale, vengono spesso legati altri movimenti come la finta e il dribbling.Il fine della conduzione della palla può essere utilizzato per:

    • Mantenere il possesso della palla
    • Conquistare spazio
    • Posizionarsi convenientemente per l’azione successiva

    Naturalmente ci troviamo davanti ad un gesto tecnico che durante la partita segue quasi sempre la ricezione ed il controllo della palla, infatti in situazioni di gioco ogni calciatore dopo aver ricevuto e controllato la palla deve velocemente decidere se passarla ad un compagno o mantenerne il possesso, se decidesse di mantenerla, è quasi sempre impegnato ad eseguire dei movimenti con la palla ai piedi e quindi costretto a guidarla.Ci sono vari modi in cui la palla può essere guidata:

    • Con il collo del piede
    • Con l’interno del piede
    • Con l’esterno del piede
    • Con la pianta del piede

    Tutto si svolge in funzione ed in relazione al movimento che un calciatore ha intenzione di eseguire e che lo porterà ad utilizzare la parte del piede idonea per la giusta esecuzione del movimento stesso.Generalmente viene maggiormente utilizzata la guida della palla con l’esterno del piede perché permette di poter guidare la palla con una discreta velocità e con una maggiore protezione della stessa nei confronti dell’avversario.La guida della palla è un gesto tecnico che bisogna necessariamente imparare da piccoli perché è elemento essenziale per il gioco del calcio ma che come tutti gli altri elementi ha bisogno di essere allenato con costanza nella crescita dei nostri allievi per riuscire sempre ad eseguirlo nel modo corretto.Dopo aver acquisito una buona padronanza della gestualità tecnica riguardante la conduzione  in cui l’allievo instaura un rapporto stretto con la palla in tutte le sue forme, si potrà programmare un lavoro riguardante  questa  abilità tecnica specifica all’interno di un contesto situazionale, dove il giovane calciatore prenderà coscienza del saper guidare la palla sfruttando  la propria abilità per poter raggiungere  molteplici obiettivi, egli sarà costretto ad operare delle scelte  passando da una fase di controllo motorio ad una fase cognitiva. L’importanza dello sviluppo dell’area cognitiva ci permetterà di strutturare processi mentali fondamentali nelle scelte di tipo tattico. In ogni azione durante il gioco il giovane calciatore dovrà  quindi affrontare tre fasi:

    • Presa d’informazione dell’ambiente esterno: osservare, discriminare, riconoscere, scegliere
    • Elaborazione delle informazioni: rappresentarsi, anticipare, pianificare, decidere
    • Applicazione dell’informazione: apprendere, conoscere, acquisire  nuove esperienze

    Queste tre fasi all’interno del gioco sono sempre presenti e sono  determinanti per poter effettuare delle scelte efficaci in funzione delle diverse situazioni che si devono affrontare. La conduzione della palla quindi non sarà più un abilità tecnica fine a se stessa, ma sarà sempre motivata al raggiungimento di un obiettivo ben preciso.